Questo sito web o le sue componenti di terze parti utilizzano i cookies necessari alle proprie funzionalità. Se vuoi saperne di più puoi verificare la nostra cookie policy
La Psicoterapia
Il termine Psicoterapia etimologicamente indica terapia della psiche, per dirla in termini umanistici, si potrebbe definire cura dellanima.
L’uomo, da sempre ha cercato la comunicazione e il rapporto tra due persone può indurre, in generale, un senso di benessere. Laddove interviene lo “psicoterapeuta” il percorso è più tecnico e più mirato grazie all’ausilio di strumenti che egli possiede.
Come ha affermato Canestrari oggi, “più che di una psicoterapia possiamo parlare di psicoterapie” essendo, ormai, molti gli approcci conosciuti per eliminare un sintomo. Per meglio comprendere la complessità della psiche, si deve partire dal fatto che la definizione di “normalità” e di “salute psichica” non è univoca per ogni persona, vista la presenza di “nevrosi” non sempre ben delineate. In realtà, gli scopi della psicoterapia, dal punto di vista del paziente che vi si sottopone sono molti: ciascun soggetto mira ad un risultato preciso e personale. Esiste chi vuole non soffrire più d’insonnia, chi vuole eliminare l’ansia, chi desidera essere più socievole, chi desidera sentirsi più sicuro, chi vuole recuperare la propria immagine, chi vorrebbe essere più brillante nelle prestazioni sessuali, chi vuole uscire dal tunnel della depressione e così via. In sintesi, tutti desiderano che cambi “qualche cosa” e che la propria qualità della vita sia migliore. A tal proposito, spesso, si accorcia la strada ricorrendo, prima della psicoterapia agli psicofarmaci pensando che con la semplice “pillola” si possano risolvere problematiche ben più complesse. Infatti, bisogna spiegare che il “sintomo” è soltanto uno dei diversi fenomeni che caratterizzano l’alterazione della personalità, così come la febbre, per esempio, è solo un fenomeno che può essere presente nella polmonite. Pertanto, non si può identificare il “sintomo” con la malattia vera e propria che comprende altri sintomi e si ascrive ad uno stato di salute precaria più strutturato e più profondo. Se si domina la febbre con un antipiretico, non si cura così la polmonite; in analogo modo, sedando uno stato d’ansia, lo stato di calma acquisito rimane un fatto temporaneo che non persiste nel tempo, non avendo toccato i meccanismi profondi ed intervenienti per quel particolare “stato”.
Partendo dal principio che il comportamento umano (e animale) può essere cambiato, il modo di essere e la personalità sono la risultante di un condizionamento ambientale e di un lungo periodo di apprendimento. Il nevrotico insieme ai sensi di colpa, all’ansia, alla depressione avverte anche la sua impotenza e l’incapacità di padroneggiare la sua esistenza e cerca un sollievo dal suo stato di “dolore” cercando di spingersi verso l’autocontrollo, l’autonomia, nonché verso una modifica comportamentale che lo conduca ad un benessere, ma da solo non ci riesce.
La funzione della psicoterapia è proprio quella di aiutare il paziente a comprendere i suoi comportamenti, le sue azioni, i suoi pensieri, le sue emozioni mettendolo così in grado di modificarli e riorganizzarli in modo più adeguato per il suo benessere.
Tutti gli approcci psicoterapeutici condividono tre aspetti: il primo, riguarda il rapporto paziente/terapeuta; il secondo, riguarda l’esplorazione della personalità del paziente che si evince prevalentemente con il colloquio, ma non solo; il terzo, riguarda il cambiamento della “presa di posizione del soggetto” che deve trasformare l’atteggiamento sterile del soggetto “nevrotico” in una collaborazione attiva che liberi il suo background verso l’evoluzione e l’autonomia.
Sono cinque gli elementi portanti dello psicoterapeuta: 1) “Lo psicoterapeuta deve sapere ascoltare” e deve farlo con attenzione, prudenza, ed impegno al fine di comprendere i problemi del paziente. La capacità di “ascolto” consente di raccogliere informazioni (senza reazioni derivanti da fattori personali). Egli trasmette la sua comprensione, comunica l’empatia, e consente al paziente di aprirsi, di raccontare sè stesso. Può essere sufficiente un’espressione del volto, una frase od uno scivolamento verso altri eventi per risolvere una situazione che comincia a diventare difficile. Il terapeuta, se da una parte apprezza la sincerità del paziente, i suoi sforzi per migliorarsi, ed il desiderio di affidarsi a lui, dall’altra, non lo critica per i suoi difetti, ma solo, successivamente, interverrà per evidenziare la modifica già avvenuta, ovviamente, gratificandolo. Il “saper ascoltare è un’arte”, già Epitteto quasi duemila anni fa scriveva “l’uomo ha due orecchie per ascoltare ed una bocca per parlare”, tuttavia, non basta solo questo per essere un bravo “psicoterapeuta”. 2) “Lo psicoterapeuta deve avere il rispetto dell’altro” che consiste nel non ferirlo. Il paziente ha poca stima e poca fiducia in sè stesso, quindi, bisogna rafforzarlo innalzando l’autostima e la sicurezza ed indebolendo eventuali fallimenti. Non devono esserci elementi disturbanti (telefoni, messaggi in arrivo ecc.) durante l’incontro ed il paziente deve rimanere al “centro” con tutti i suoi vissuti ed i suoi racconti. Egli deve poter conservare la sua libertà di pensiero, e lo psicoterapeuta non deve minimamente pensare di convertirlo. Questo tipo di “professionista” deve ribadire che ciò che gli preme “è il suo benessere”, curandosi di lui senza alcuna nuova persuasione morale. 3) “Lo psicoterapeuta deve adattare il proprio metodo valutando il paziente ed il momento”. Se la preparazione, la competenza tecnica, la sensibilità sono fondamentali, è in modo analogo, di estrema importanza, “la flessibilità”. Ciò sta a significare che se è necessario dare una risposta subito per un problema urgente, bisogna farlo. E’ evidente che tale risposta non determina alcun cambiamento nella persona, né si può far rientrare nella funzione specifica della psicoterapia, ma non bisogna mai dimenticare che “la psicoterapia è anche un rapporto umano, intimo, profondo, unico, sia pure in un contesto professionale”. La frequenza, settimanale o con più sedute, va adottata secondo le circostanze ed i bisogni del paziente, fermo restando che la leadership è del terapeuta. 4) “Il paziente deve essere motivato”, nel senso che il paziente deve essere consapevole del suo disturbo, del suo disagio e deve decidere di farsi curare. Il cambiamento di una persona procede nella psiche gradualmente e con la manifesta volontà del paziente e non con il solo suggerimento degli altri (genitore, insegnante, o medico). Egli deve partecipare attivamente ed avere il desiderio di cambiare, affinché ciò accada, il paziente deve fidarsi, e la “fiducia” la acquisisce col tempo al di là del Codice deontologico. I dubbi, le esitazioni, i sentimenti di ambivalenza verso il terapeuta, sono elementi esistenti, quasi d’obbligo, fin quando non si è ben strutturata “l’alleanza terapeutica”. 5) “il paziente deve affrontare la terapia con impegno” lasciandosi andare, trasmettendo i suoi pensieri più nascosti, le sue fantasie. Se il super-io in ognuno di noi, vieta e censura, è opportuno che in terapia esso sia allentato, al fine di far fluire i contenuti più importanti presenti nel paziente. Egli deve trovare il coraggio di raccontarsi nella sua pochezza, nelle sue piccinerie, consapevole di essere compreso e di non essere giudicato, rassicurato anche che, tali aspetti sono presenti in ogni “essere umano”. In questo modo, il paziente senza alcuna paura, riesce a parlare di fatti dolorosi, di momenti difficili al fine di imparare qualche cosa di nuovo per “vivere meglio” con sè stesso e con gli altri.
Nelle fasi della psicoterapia vanno distinti tre momenti: il primo, riguarda lo stabilirsi del rapporto terapeutico, in cui il terapeuta acquisisce informazioni, notizie e fornisce tutti i chiarimenti che il paziente richiede. E’ in questo momento che si crea “l’alleanza terapeutica” in cui si stabilisce la modalità del rapporto, gli accordi, la frequenza degli incontri. Il secondo momento, riguarda la comprensione dei vissuti e delle problematiche del paziente (nonché la loro origine), dei suoi legami affettivi, da parte del terapeuta che deve ben delineare la personalità. Il terzo momento, determina il passaggio dalla comprensione del “tutto”, all’azione verso nuove modalità di vita e di comportamento. Non si sradicano con facilità comportamenti “nevrotici” o “distruttivi” acquisiti per anni, pertanto, accade di frequente, che lo psicoterapeuta debba riesaminare, reinterpretare, rianalizzare ogni emozione, ridando nuove spiegazioni per rafforzare il cambiamento. Fornendo al paziente una maggiore conoscenza di sè stesso egli si sentirà più sicuro, aumenterà la sua autostima e saprà gestire con più serenità gli eventi futuri. Il controllo delle proprie emozioni, la gestione di esse, sprona l’individuo ad affrontare la realtà accogliendo la possibilità di insorgenza di conflitti interiori senza incamerare traumi. Quando l’Io conquista uno stato di sicurezza ci si trova di fronte al benessere mentale che avrà allontanato paure, incertezze, rancori, ansie proiettando il paziente alla vita, in un cammino positivo, verso un cambiamento della sua personalità che determinerà anche la fine della psicoterapia.
Dr.ssa Maura Livoli
Psicologa, psicoterapeuta, sessuologa, psicoanalista