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Parlare ai bambini della morte

Parlare ai bambini della morte

Parlare della morte per aiutare i bambini a superare i lutti

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La morte è un evento normale nella vita, come ogni altra prova da superare conferisce forma e spessore al carattere dei bambini, ma ciò non significa che debbano essere lasciati soli ad affrontarla, rimanere muti davanti alle loro domande, o molto più spesso comportamenti insoliti, nascondendosi dietro la scusa del loro bene, significa lasciarli disarmati ad affrontare una prova che scuote profondamente anche gli adulti.

Il concetto di morte in base all’età del bambino

Prima dei tre anni i bambini non capiscono il significato della morte. Se la famiglia viene colpita da un lutto, sebbene non siano capaci di comprendere il dolore di chi gli sta accanto, sono comunque colpiti dai cambiamenti nel suo viso e nel suo comportamento. Variazioni nel ritmo sonno-veglia e nell’alimentazione devono essere considerati espressione del loro turbamento.
Durante l’età prescolare (3-6 anni) i bambini riescono a comprendere la morte in termini e concetti semplici, ma ancora non contemplano l’irreversibilità dell’evento, pertanto, qualora vivano una perdita, la domanda “quando torna” sarà formulata più e più volte. In questa fase di sviluppo manifestano il disagio vissuto con irritabilità, pianto e difficoltà ad addormentarsi, molto comuni e normali sono periodi di regressione a fasi di sviluppo già superate (es. tornare a succhiare il ciuccio o il pollice, bagnare il letto)
Dai sette anni in poi, il bambino sperimenta il dolore della perdita in tutto il suo spessore. Comprende pienamente che la morte è irreversibile, anche se è difficile accettarla; essa genera pensieri articolati in cui il bambino oscilla tra concretezza, con la curiosità anche morbosa sui dettagli relativi al corpo dopo la morte, e trascendenza, con l’esplorazione delle varie possibilità di essere ancora in vita dopo la morte.

Perché parlare con il bambino della morte

“Le domande più interessanti rimangono domande.
 Avvolgono un mistero. 
Ad ogni risposta si deve associare un “forse”.
Sono solo le domande senza interesse
 ad avere una risposta definitiva.”

Oscar e la dama in rosa
Éric-Emmanuel Schmitt

Ancora troppo frequentemente le domande dei più piccoli vengono liquidate con un “sono cose da grandi”: per il bambino è come sentire una porta che si chiude, per l’adulto un’opportunità persa per sempre di essere per il proprio figlio un esempio autorevole che comunichi con il proprio comportamento che, nonostante paure e fragilità, si è capaci di affrontarle e padroni della situazione.  

La scoperta della morte è un evento che non possiamo evitare, anche quando non ci sia un lutto a imporci con prepotenza di fermarci a riflettere, la morte è ovunque, viviamo difatti in un mondo in cui siamo iper-esposti alle immagini sulla morte. 

Le circostanze per riflettere sull’argomento con i piccoli non mancano, possono essere fornite da una notizia al telegiornale, dalla morte di un animale domestico, dalla visione di un documentario, di un cartone in cui muoia qualcuno, dai fiori sul balcone che appassiscono per far posto ai nuovi.

Molto spesso i bambini fanno domande, agganciarsi proprio a queste è il miglior antidoto contro la paura della morte: raccontare, parlare, piangere, condividere il terrore per poi accantonare il tutto e continuare a vivere.

A volte potrebbe essere utile anche introdurre l’argomento di proposito, per esempio sfogliando vecchi album di fotografie, il genitore partendo da queste potrà aprirsi con il bambino sui propri lutti e su come furono affrontati nel passato, da quelli più lontani ai più recenti e raccontare di tutte le persone perse e di cosa significassero nella propria vita e di come continuano a influenzarla perché parti di una storia comune.

Parlare al bambino della morte non è mettersi in cattedra, quanto piuttosto un mettersi in gioco con la consapevolezza che gli interrogativi sollevati dai figli possono essere gli stessi che affollavano, o affollano ancora, l’immaginario dei genitori, oppure possono far vacillare certezze ormai date per scontate.

Parlare della morte non è una volta per tutte, un dialogo con queste caratteristiche è destinato a protrarsi nel tempo, a essere riaperto ogni volta che il bambino ne senta il bisogno, il genitore semplicemente deve esserci. Se il figlio è sicuro della presenza attenta, calda e interessata del genitore, riavvierà il dialogo ogni volta che nuove consapevolezze permetteranno considerazioni sempre più profonde.

Il dialogo sulla morte deve permettere al bambino di sentire che ciò che prova e pensa è normale e degno di considerazione da parte del genitore.

Ogni genitore che si cimenti in questo compito e vi riesca dona al proprio figlio gli strumenti per prendere consapevolezza della mortalità dell’essere umano, di sè stesso, dei genitori e persone importanti, ma anche il presupposto per vivere fino in fondo, senza rischio di rimanerne bloccato, ogni esperienza di lutto che la sorte gli riserverà. 

Condividere l’esperienza del lutto dialogando

E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre),
 sarai contento di avermi conosciuto.

Il Piccolo Principe
Antoine de Saint-Exupery

Molto spesso gli adulti, turbati dalla propria sofferenza per la perdita di un congiunto, e pensando di agire per il meglio, decidono di mascherare i loro veri sentimenti e di non parlare ai bambini della morte, questa strategia però rischia di lasciarli soli con i loro fantasmi come uniche spiegazioni. Confrontarsi con la realtà può essere molto meno doloroso della solitudine e dell’immaginazione ricca di ansia, paura, colpa e ignoranza.

La condivisione può trasformare un evento negativo in un’occasione per stringere legami e rafforzare la fiducia, e in tal modo favorire l’elaborazione della perdita e lo sfogo di tutte le emozioni che essa catalizza.

A seconda dell’età del bambino colpito da lutto e delle sue esigenze si agirà diversamente.

Nella prima infanzia l’adulto provvederà a portare calma, ad un maggiore contatto fisico, cercando di regolare l’attivazione emotiva. Presterà attenzione a non introdurre ulteriori cambiamenti e fonti di turbamento.

In età prescolare, il bambino ha bisogno di trasparenza, pertanto è utile che l’adulto utilizzi parole chiare e corrette, evitando eufemismi, e che di conseguenza preferisca dire “è morto” piuttosto che “se ne è andato”.

Altrettanto importante è non cedere alla paura di farsi vedere addolorati, condividere le vostre emozioni permette al bambino di comprendere con la mente e con il cuore che ciò che prova non è qualcosa di cui vergognarsi o da inibire perché potenzialmente fonte di stress per i genitori, ma una cosa normale perché traspare anche dal comportamento degli adulti di riferimento.

Dai 7 anni in poi è necessario essere onesti e aperti, fornendo anche dettagli, se richiesti, permettere loro di partecipare ai riti e coinvolgerli nei momenti di condivisione, per esempio creando un ambiente sicuro in cui incoraggiare i ricordi e l’esplorazione condivisa di pensieri personali e dubbi sulla morte.

I bambini provano emozioni intense cui ancora non è mai capitato di dare voce, pertanto hanno bisogno di imparare a esprimere anche a parole ciò che provano; come capita agli adulti, possono sperimentare sentimenti ambivalenti, oscillare tra paura, disperazione, rabbia, colpa, ma anche vergogna.

La paura in seguito a una perdita è normale: dopo la separazione da una figura più o meno importante, e desiderando evitare ulteriori scossoni, i bambini manifestano più ansia e bisogno di controllo: potrebbero rifiutarsi di essere soli in una stanza, nel proprio letto, di andare a scuola e , in generale, che le figure di riferimento si allontanino.

Nel periodo del lutto, gli adulti possono essere più flessibili rispetto a tali richieste, prestare particolare attenzione a fornire informazioni precise e dettagliate sulle proprie assenze, anche se brevi. Contemporaneamente possono cercare di rendere esplicito qualcosa che accade solo ad un livello implicito: ogni volta che il bambino manifesta paura, con delicatezza, può essere aiutato a connettere l’emozione ai possibili pensieri che la suscitano e ai comportamenti che ne conseguono (es. se è morta nonna, allora forse sta per morire anche nonno e quindi è meglio chiamarlo a telefono ogni sera)

Durante il lutto, la colpa e il rimpianto sono forse le più scomode compagne di viaggio, possono diventare così intollerabili da cristallizzarsi come un terribile segreto da non condividere con nessuno.

Nei primi tempi dopo la perdita di una persona amata i bambini possono sentirsi in colpa per qualcosa fatta o detta, ma anche provare rimpianto per non poter tornare indietro semplicemente a dire un “Ti voglio bene” “Scusami” o per un abbraccio, e per tali ragioni possono sentirsi cattivi.

Successivamente, nel momento in cui si presenta l’occasione di legarsi a nuove persone, la colpa potrebbe ripresentarsi e ostacolare un migliore adattamento alla vita.

In tali momenti è fondamentale non essere lasciati soli, ma aiutati a esprimere anche e soprattutto questi sentimenti intollerabili. Ricordare al bambino di essere stato molto amato dalla persona venuta a mancare e che questa, a sua volta, era consapevole che il legame era forte e reciproco, risulta un intervento potente e spesso risolutivo.

Anche la rabbia è un’emozione normale e importante nel lutto infantile, in genere non è solo diretta verso il mondo intero, ma anche verso la persona scomparsa per essere stati lasciati, o per chi è rimasto. Essa aiuta a reagire al lutto, ma cela sempre la tristezza vera e profonda per la perdita subita.

È importante veicolare l’idea che in situazione di sofferenza è normale piangere, sentirsi tristi e vulnerabili.

Sebbene spesso trascurata, anche la vergogna è un’emozione rilevante nel lutto infantile, soprattutto quando lascia il bambino in una situazione svantaggiata rispetto ai suoi pari, come quando muore un genitore; essa diventa invece proprio insopportabile se la causa della morte è per suicidio.

Nel confronto con i pari che hanno entrambi i genitori, o a cui non è mai morto un fratello, il bambino può sviluppare un senso di inferiorità, sentirsi diverso, aspettarsi di essere preso in giro, giudicato o trattato con pena e per tali ragioni cominciare ad adottare strategie: potrebbe isolarsi per evitare gli altri, arrabbiarsi/picchiare gli altri per sembrare più forte, indossare una “maschera” per nascondere la vergogna provata, trovare un modo per essere divertente in ogni situazione.

In realtà tutte queste strategie, sebbene aiutino ad affrontare il problema a breve termine, non faranno altro che amplificarlo generandone altri.

È fondamentale identificare tali comportamenti, segnalarli con dolcezza al bambino perché riesca a metterli in relazione con cosa prova e pensa, spiegargli che anche la vergogna è normale, ma è transitoria.

Tutto ciò richiede onestà, ma non si può essere onesti con un figlio, se prima non lo si è con sè stessi, se non ci si guarda dentro.

Guardarsi dentro potrebbe portare alla luce antichi dolori legati ad esperienze di perdita mai elaborate e il dialogo potrebbe pertanto risultare carente o anche completamente ostacolato.In tal caso potrebbe essere davvero utile farsi delle domande e cercare risposte insieme a un esperto. È enormemente utile che un bambino sappia che gli adulti sono in grado di superare il momento di crisi e, se necessario, trovare conforto in altri adulti di riferimento o in uno specialista per prendersi cura di sé.

Vale la pena di ricordare ancora che gli adulti sono degli esempi per i più piccoli, osservandoli stare male e chiedere aiuto si sentiranno autorizzati a fare altrettanto e diventeranno a loro volta adulti che si prenderanno cura di sé.

Dott.ssa Alessia Sarracini
Psicologa, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale
Sito web: www.psicoterapeutasarracinialessia.it

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